Le biciclette, muscolari o elettriche, fanno bene alla salute, rafforzano il sistema immunitario e, importante in tempi di emergenza sanitaria, garantiscono l’adeguata “distanza sociale” per evitare contagi. Benefici al quale si aggiungono quelli tipici dei cicli: emissioni zero e occupazione di strade e aree di sosta quasi nulle. Con il lockdown per coronavirus, però, sono state chiuse le attività di riparazione impedendo a molti di usare la bici per andare al lavoro o, per i rider, di lavorare. Una piccola foratura o la mancata manutenzione ordinaria consueta all’inizio della stagione ha reso, di fatto, impossibile salire in sella. Situazione che ha generato la protesta di molte associazioni del ciclo e dell’ambiente che hanno chiesto all’esecutivo di includere le ciclofficine nell’elenco delle attività essenziali che possono rimanere aperte. A supporto delle organizzazioni è arrivata anche Confindustria Ancma interpellando direttamente il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) al fine di sollecitare soluzioni per rendere operativi il prima possibile i riparatori del settore. Oltre a un’esigenza per i molti che devono pedalare, il rischio di contagio è basso perché, come sottolineano i responsabili di Ancma, “i negozi di bici sono mediamente piccoli, 120 mq di superficie, occupati in media da 2,2 persone, il 66% di loro presenta una o due persone che vi lavorano (il 35% di essi)”.
La risposta informale arrivata dal MISE ha aperto spiragli per una riapertura. È stato chiarito che le ciclofficine possono essere considerate attività funzionali di quelle “aperte” e pertanto “possono richiedere il permesso di apertura parziale attraverso il Modello di comunicazione ai sensi dell’art. 1 comma 1 lettera d) del D.P.C.M. 22 marzo 2020 (Attività funzionali ad assicurare la continuità delle filiere dei settori di cui all’allegato 1 del medesimo D.P.C.M., dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali di cui alla legge n. 146/1990)”.
“L’attività di riparazione cicli, pertanto, può essere vista a supporto del settore postale, ma anche di quello della distribuzione anche solo come riparazione del mezzo per permettere ai lavoratori obbligati a recarsi sul posto di lavoro e fra questi, ad ulteriore esempio, il servizio dei rider per il trasporto a domicilio dei pasti, soprattutto per anziani e malati”.
“In tutti i casi”, specificano i responsabili di Ancma, “la comunicazione va inoltrata alla propria prefettura di competenza, meglio se corredata da altra documentazione commerciale, ordini, consegne, documenti di trasporto e vale il concetto che in attesa di risposta dalla prefettura non sussiste rischio di sanzione rispetto alle motivazioni dichiarate di apertura parziale dell’attività e non tutte le prefetture potranno concedere le medesime autorizzazioni al DPCM del 22 marzo 2020”.
Da quanto comunicato sopra, si può avere una risposta negativa dalla prefettura oppure nessuna risposta, che equivale a un’autorizzazione secondo il principio di silenzio-assenso. Può capitare anche che arrivi la Guardia di Finanza a multare la struttura aperta, ma è possibile il ricorso sempre perché il silenzio-assenso ha valore legale. I responsabili di Ancma consigliano comunque di consultare anche l’apposita pagina del Governo sulle regole in vigore.